Fissata per il 14 gennaio 2020 dal Gip di Napoli l’udienza preliminare del procedimento penale per la tragica morte dei coniugi Carrer e del loro figlio alla Solfatara di Pozzuoli, pesanti le accuse: “Gli imputati sapevano dei rischi”

Sette imputati, sei persone fisiche e una società, 14 capi di reato contestati ai sensi del codice penale e del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro: tutti erano perfettamente a conoscenza dei rischi, ma non hanno fatto nulla, in nome del profitto. Sono solo alcuni numeri, e le pesanti conclusioni delle indagini preliminari, del maxi “processo della Solfatara”, che si aprirà il prossimo 14 gennaio 2020, alle 9.30, presso il Palazzo di Giustizia di Piazza Cenni. Questa, infatti, la data fissata dal Gup del Tribunale di Napoli, dott.ssa Egle Pilla, per l’udienza preliminare in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio da parte dei Pubblici Ministeri della Procura partenopea, dott.ssa Anna Frasca e dott.ssa Giuliana Giuliano, titolari del procedimento penale per la tragica morte, avvenuta il 12 settembre 2017, dei coniugi veneziani Massimiliano Carrer e Tiziana Zaramella e del loro figlioletto Lorenzo. Com’è tristemente noto, durante una visita turistica al celebre sito naturalistico di Pozzuoli, da allora interdetto al pubblico, il ragazzino, avvicinatosi alla zona della fangaia (“aperta al pubblico e liberamente percorribile senza alcun divieto di accesso” si precisa nell’atto dei magistrati) per scattare una foto, precipitò in seguito all’apertura di una voragine sotto i suoi piedi, che inghiottì uno dopo l’altro, stordendoli con i gas del sottosuolo, anche il papà e la mamma, precipitatisi a ruota nel vano tentativo di salvare il ragazzo. Sopravvisse solo il figlioletto più piccolo dei Carrer, che ha assistito impotente al dramma e oggi vive con la zia.

Per questa immane tragedia costata la vita a un’intera famiglia sono stati indagati – e al termine delle indagini preliminari è stato chiesto per loro il processo – Giorgio Angarano, 72 anni di Pozzuoli, legale rappresentante della “Vulcano Solfatara srl” che gestisce il sito, e sei soci della stessa: Maria Angarano, 74 anni di Pozzuoli, Maria Di Salvo, 70 anni, di Pozzuoli, l’omonima Maria Di Salvo, 40 anni, di Napoli, Annarita Letizia, 70 anni, di Pozzuoli, e Francesco Di Salvo, 44 anni, di Napoli. Chiesto il rinvio a giudizio anche per la stessa società in persona del suo legale rappresentante. I reati più pesanti a loro carico sono quelli di omicidio colposo in concorso (artt. 113 e 589 comma 1 c.p.), con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 589 comma 2) e ai danni di più persone (art. 589, comma 4), e ancora di disastro colposo e di delitti colposi di danno, sempre in cooperazione tra loro (artt. 113, 434 e 449 c.p.). Gli imputati, scrivono i due Pubblici Ministeri, anche sulla scorta dei risultati della superperizia affidata a sette esperti, sono accusati di aver causato il decesso dei tre turisti “per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nell’aver gestito il sito vulcanico”, classificato dalla Commissione Grandi rischi “in zona rossa”, “in assenza di qualsiasi cautela idonea ad assicurare che l’attività turistico-ricettiva fosse svolta in modo da garantire la sicurezza dei lavoratori dipendenti e dei terzi visitatori, consentendo l’accesso al sito senza alcun percorso prestabilito, senza alcuna cartellonista, adottando recinzioni solo per delimitare la cosiddetta “Fangaia”, senza tenere conto della particolare conformazione territoriale del sito caratterizzato dalla presenza di cavità del sottosuolo, frutto dalla dinamica idrotermale vulcanica del cratere della Solfatara”. Ma sono accusati anche di “colpa specifica” per aver violato tutta una serie di capi della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

I Sostituti Procuratori battono con forza su un punto: tutti erano perfettamente consapevoli della situazione di estremo pericolo nel quale si svolgeva l’attività. Sapevano che “il sito era gestito all’interno di un cratere in area con vulcanismo attivo, in quanto erano presenti intense manifestazioni vulcaniche come le fumarole, con continuo rilascio in atmosfera di gas vulcanici, tra cui il solfuro di idrogeno” letale ai Carrer; che “il sito, aperto al pubblico, al quale accedevano sia lavoratori sia terzi tra cui turisti e personale di enti di studio e di ricerca, presentava evidenti situazioni di pericolosità, come le già citate fumarole, fratturazioni, manifestazioni fangose, formazione di cavità di primo sottosuolo, tutte manifestazioni della dinamica vulcanica del sito e costituenti via preferenziale di risalita dei gas dal basso enormemente nocivi per la salute”. Erano anche ben consci del fatto che “presso il sito era frequente la formazione di cavità e voragini in virtù di fattori endogeni dovuti al carattere vulcanico dello stesso, tanto che ogni volta che se ne apriva una essa, in assenza di alcuna verifica e studio da parte di specialisti geologi o vulcanologi, veniva semplicemente colmata con il materiale prelevato del sito stesso, da cui si scavava per riempire i vuoti di volta in volta creatisi. Infatti già nel 2014 si era aperta una grande voragine nei pressi della zona in cui avvenne il fatto, ma non venne adottato alcuno studio specifico”. Non ultimo, il legale rappresentante e i soci della Solfatara srl sapevano anche che “nessuna delle risorse finanziarie della società era investita per ridurre la pericolosità del sito”.

Anzi, i magistrati, dettagliando l’accusa di disastro colposo, evidenziano come gli imputati “realizzavano opere che comportavano un’accelerazione dei fenomeni quali la dissoluzione del suolo, (ad esempio con il posizionamento di un tubo al margine della voragine dove sono caduti e deceduti i Carrer che ha comportato un ristagno di acqua con accelerazione dei tempi di dissoluzione), nonché strutture sportive e turistico ricettive, senza alcuno studio specifico dei rischi esponendo i terzi avventori al pericolo di inalazione di gas e al pericolo di esposizione delle frane, essendovi pareti scoscese gravanti sull’area di visita, da cui, nel corso degli anni, si erano erano già staccati massi rotolati a valle”. E inoltre “omettevano di realizzare opere idrauliche volte alla regimazione delle acque per mitigare il rischio idrogeologico, con conseguente ristagno dell’acqua nell’area centrale craterica e maggiormente depressa, con assottigliamento più rapido del suolo, così cagionando il disastro ambientale dell’intero sito della Solfatara di Pozzuoli con pericolo per la pubblica incolumità”. Pertanto, concludono i magistrati, “pur rappresentandosi l‘evento morte, confidavano nella validità di rimedi approntati in maniera “artigianale” quali presidi capaci di evitare il pericolo stesso”. Ma i Pubblici Ministeri sono ancora più duri nel capitolo riguardante la società, dove accusano il suo legale rappresentane e i suoi soci “di non aver previsto alcuna destinazione di capitoli di spesa e voci di bilancio per la realizzazione di presidi e cautele idonee ad assicurare che l’attività turistico ricettiva fosse svolta non modo sicuro per i lavoratori dipendenti e i terzi visitatori, così realizzando, nell’interesse proprio e della società, risparmio di spesa ed accrescimento del profitto”.

Non si contano, poi, le violazioni specifiche del Testo unico sulla sicurezza, che vanno dal mancato aggiornamento del DVR – il Documento di Valutazione dei Rischi, fermo al 2009 – in occasione dell’organizzazione del lavoro o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e protezione, alla mancata valutazione dei rischi dell’attività lavorativa, dalla mancata assicurazione ai lavoratori di una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alla mancata adozione delle misure perché i lavoratori fossero salvaguardati dai rischi di natura elettrica (i quadri del camping e del catering presentavano contatti diretti in tensione scoperti e privi di idonea chiusura), dalla mancata nomina di un medico competente per effettuare la sorveglianza sanitaria, alla mancata organizzazione dei necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione delle emergenze.

“Il lavoro di ricostruzione da parte della Procura di Napoli è stato puntuale, attento e completo – commenta l’Avv. del Foro di Padova Alberto Berardi, che assiste i familiari delle vittime unitamente al collega Vincenzo Cortellessa e a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento anni e nella tutela dei diritti dei cittadini – Ed evidenza un quadro e una gestione imprenditoriale – non a caso è imputata anche la società – nel quale il tema della sicurezza sul lavoro e quindi degli ospiti e dei visitatori era del tutto inesistente. Se, come si spera, questa vicenda servirà a impedire a futura memoria che siti e realtà di questo tipo possano essere gestiti in assenza di qualsivoglia cautela sul fronte della sicurezza, la cittadinanza tutta deve essere grata all’attività dei magistrati”. Studio3A ha già chiuso il capitolo civile ottenendo un congruo risarcimento per i familiari delle vittime, in primis il bimbo sopravvissuto, “ma adesso ci aspettiamo che durante il processo vengano anche riconosciute tutte le responsabilità di questa immensa tragedia per rendere giustizia alle famiglie di Massimiliano, Tiziana e Lorenzo” conclude l’Avv. Berardi.

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