Istat: sono insufficienti i Centri antiviolenza in Italia rispetto alle richieste di 43mila donne

E’ ancora insufficiente in Italia l’offerta dei Centri antiviolenza (Cav) che svolgono attivita’ a sostegno delle donne maltrattate e dei loro figli: al 31 dicembre 2017, ne risultavano attivi 281, pari a 0,05 per 10 mila abitanti laddove la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul individua come obiettivo quello di avere un Centro antiviolenza ogni 10mila abitanti. E’ quanto emerge dalla prima indagine sul tema condotta dall’Istat in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunita’, il Cnr e le Regioni. Nel 2017 si sono rivolte ai Centri antiviolenza 43.467 donne (15,5 ogni 10mila); il 67,2% ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10mila). Tra le donne che hanno iniziato tale percorso, il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi. Le donne straniere costituiscono il 27% di quelle prese in carico. Le modalita’ per entrare in contatto con i Centri sono di vario tipo: il 95,3% mette a disposizione il numero telefonico 1522, che accoglie le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, il 97,6% garantisce una reperibilita’ h24. In alternativa si puo’ andare presso i singoli Centri, aperti mediamente 5 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno. L’89,7% dei Centri e’ aperto 5 o piu’ giorni a settimana. I servizi offerti sono molteplici, dall’accoglienza (99,6%) al supporto psicologico (94,9%), dal supporto legale (96,8%) all’accompagnamento nel percorso verso l’autonomia abitativa (58,1%) e lavorativa (79,1%) e in generale verso l’autonomia (82,6%). Meno diffusi, il servizio di sostegno alla genitorialita’ (62,5%), quello di supporto ai figli minori (49,8%) e quello di mediazione linguistica (48,6%).

L’82,2% dei Centri effettua la valutazione del rischio di recidiva della violenza sulla donna. Per gestire le situazioni di emergenza l’85,8% dei Centri antiviolenza e’ collegato con una casa rifugio. I Cav hanno profili organizzativi diversi sul territorio. Il 68,5% lavora in collaborazione con le reti territoriali antiviolenza: laddove la rete non esiste, i Centri hanno comunque siglato protocolli bilaterali con i soggetti che si occupano di violenza contro le donne. Le professioniste che operano in queste strutture sono 4.403. Di queste, 1.933 (43,9%) sono retribuite mentre 2.470 (56,1%) risultano impegnate esclusivamente in forma volontaria.Numerose le figure professionali di cui i Centri si avvalgono: operatrici di accoglienza (89,3%), psicologhe (91,7%), avvocate (94,1%), educatrici (50,2%). Scarsa la presenza di mediatrici culturali (28,9%). La maggiore quota di volontarie si riscontra tra le operatrici e le avvocate. La formazione e’ uno degli aspetti qualificanti dei Centri antiviolenza: piu’ di nove su 10 hanno svolto una formazione obbligatoria per le operatrici sulla tematica di genere. Tra i temi specifici affrontati i piu’ frequenti sono la Convenzione di Istanbul (81,2% dei Centri ha offerto corsi sul tema), i diritti umani delle donne (64%), l’accoglienza delle migranti (51,3%). Minore la quota di Centri che hanno trattato l’accoglienza delle donne con disabilita’ nei loro corsi (15,2%). Oltre a farsi carico delle donne vittime di violenza, i Centri svolgono attivita’ di informazione e prevenzione all’esterno. Nel 2017, l’81% ha organizzato soprattutto verso gli operatori sociali e sanitari, ma anche verso le forze dell’ordine e gli avvocati, e il 91,7% ha svolto attivita’ d’informazione nelle scuole. 

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