Notificata dai carabinieri una misura cautelare nell’ambito dell’omicidio del pastore 60enne avvenuto a Giffoni Sei Casali (Salerno)

I carabinieri della sezione operativa del Comando Compagnia di Battipaglia, della Stazione di Giffoni sei Casali e Giffoni Valle Piana, hanno eseguito un provvedimento cautelare, emesso dal gip di Salerno nei confronti di un indagato per omicidio. L’indagine riguarda l’omicidio di Domenico Pennasilico, 60 anni, pastore morto nell’aprile di questo anno in un dirupo in localita’ Sieti a Giffoni Sei Casali. Pennasilico era stato colpito da un proiettile alla gamba, sparato da un fucile, e il proiettile aveva toccato l’arteria femorale, provocandone il decesso in breve tempo nonostante il figlio, che era con lui, avesse chiamato subito le forze dell’ordine. Due uomini, padre e figlio, erano stati portati in caserma e il sospetto degli inquirenti era che il delitto fosse legato a dissapori per motivi di pascolo.

Era necessario che si lavasse accuratamente con il latte per eliminare le tracce di piombo, bario e antimonio. Era questa una delle preoccupazioni, espresse in conversazioni intercettate dagli inquirenti, mostrate da Bruno Di Meo nelle ore successive all’omicidio di Domenico Pennasilico e al tentato omicidio di suo figlio, Generoso Raffaele Pennasilico, a Giffoni Sei Casali, nel Salernitano. Per gli inquirenti, Di Meo, 23 anni, e’ l’autore del delitto avvenuto il 23 aprile scorso tra i monti Picentini, precisamente in zona ‘Cerzoni’. I carabinieri gli hanno notificato nella tarda serata di ieri la misura di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del tribunale di Salerno. L’uomo deve rispondere di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, concorso in omicidio e porto ingiustificato di arma da sparo perche’ non aveva il porto d’armi. Il crimine sarebbe maturato in un contesto di dissidi tra pastori della zona per lo sfruttamento dei pascoli. Una faida tra due famiglie che inizia diversi anni fa. Tant’e’ che sono agli atti diverse denunce reciproche tra i due nuclei familiari che, in passato, si sono accusati a vicenda di invadere il campo di pascolo altrui. Gli investigatori hanno ricostruito che, nel primo pomeriggio del giorno della morte di Pennasilico, la vittima si trova insieme con il figlio tra le alture per recuperare alcuni bovini che si sono allontanati dalla solita zona di pascolo. All’improvviso, pero’, vengono esplosi due o tre colpi d’arma da fuoco verso Generoso Raffaele che non lo colpiscono; il ragazzo chiama, con il cellulare, il padre per avvisarlo di mettersi in salvo. Quella conversazione, pero’, per Domenico sara’ l’ultima perche’, quasi in contemporanea, viene ferito alla regione sacrale e a una coscia da un primo colpo di fucile a pallettoni esplosi da complici di Di Meo. Poi, viene ‘finito’ con un secondo colpo esploso a un metro e mezzo di distanza. Intanto, Generoso Raffaele allerta il 112. 

 In quella “concitatissima telefonata”, come definita dal procuratore capo facente funzioni di Salerno, Luca Masini, il figlio riferisce che il padre e’ vittima di un agguato, che non riesce piu’ a mettersi in contatto con lui e rivela anche quella che lui suppone sia l’identita’ del ‘pistolero’. Poche ore dopo, Domenico Pennasilico viene ritrovato morto nei pressi di un torrente ai piedi di un dirupo e il suo corpo recuperato, piu’ tardi, da una squadra del soccorso alpino dei vigili del fuoco. Ed e’ li’ che, probabilmente, avra’ perso anche il cellulare, mai piu’ trovato. “Generoso Raffaele, grazie a una maggiore agilita’ dovuta alla giovane eta’ e’ rimasto incolume”, spiega Masini. Sia l’esame esterno del corpo che la successiva autopsia confermano che la vittima viene colpita da almeno due proiettili. L’ultimo, nella regione dorso lombare, gli causa “lo sfacelo degli organi interni e vitali e in particolare del parenchima-splenico e polmonare”. L’attenzione dei carabinieri e del pm titolare del fascicolo, Katia Cardillo, si concentra subito su di Di Meo, sia perche’ riconosciuto dal giovane Pennasilico come il responsabile dell’agguato, sia per le analisi fisiche del Ris di Parma su suo capelli e pantaloni di che hanno mostrato la presenza di particelle di residui di sparo che, per la procura, sarebbero “univocamente indicative dell’utilizzo di recente di armi da sparo, compatibili peraltro con le particelle estratte dai bossoli rinvenuti sul luogo del tentato omicidio e sulla via di fuga di Domenico Pennasilico”. Agli inquirenti, pero’, Di Meo, durante l’interrogatorio nella notte stessa del 23 aprile scorso, racconta che quelle tracce erano dovute al fatto che era andato “a sparare ai caciocavalli per la Madonna dei Carbonari”, una tradizione popolare del martedi’ in Albis. Una versione che non convince la procura che ha chiesto e ottenuto dal gip la misura cautelare in carcere. L’indagine non puo’ dirsi chiusa e ci sarebbero altre persone su cui sono in corso accertamenti. Il 23enne, del resto, era stato interrogato insieme al padre la notet stessa dell’omicidio. 

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