Un “filo molecolare” converte la luce in corrente elettrica

 E’ un minuscolo dispositivo interamente formato da molecole biologiche auto-assemblate che riesce a convertire la luce in corrente elettrica con un’efficienza maggiore di altri sistemi simili (ma “non bio”) e la cui stabilita’ dura mesi. E’ il “filo molecolare” sviluppato da Marta De Zotti, del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Universita’ di Padova ed Emanuela Gatto, ricercatrice dell’Universita’ di Tor Vergata, in uno studio pubblicato sulla rivista Angewandte Chemie International Edition. La nostra vita dipende in modo cruciale dai dispositivi elettronici che, a loro volta, si basano sul trasporto elettronico. In natura i processi di trasferimento di elettroni sono fondamentali e vengono realizzati con meccanismi altamente qualitativi, basti pensare agli enzimi o alla fotosintesi. Pertanto lo sviluppo di dispositivi elettronici basati esclusivamente su biomolecole e’ altamente auspicabile, dati gli evidenti risparmi economici e guadagni ambientali che questa rivoluzione comporterebbe. Tuttavia le biomolecole hanno spesso poca stabilita’ al di fuori del loro ambiente naturale. Il DNA, ad esempio, mostra una buona conduttivita’ solo per brevi distanze, dopo di che diventa un isolante. Le proteine, materiali molto promettenti per le applicazioni bioelettroniche, spesso sono troppo instabili al di fuori del loro ambiente biologico per essere davvero utili. Grazie al nuovo studio sono stati fatti importanti passi in avanti.

Cuore del sistema sviluppato e’ la versione analoga di un peptide naturale, chiamato tricogina GA IV, sintetizzata dal fungo trichoderma logibrachiatum. Tricogina appartiene alla famiglia dei peptaibolici, peptidi naturali che possiedono strutture elicoidali ben definite, notevolmente stabili in condizioni ambientali estreme. Questa loro particolare stabilita’ deriva dalla presenza, nella sequenza, di AiB (un particolare amminoacido non codificato dal nostro DNA) che e’ un efficace induttore di strutture elicoidali. La caratteristica che rende questo “peptide bionico” veramente interessante e’ la sua capacita’ di agire come filo elettrico, mediando efficacemente il trasferimento elettronico. Solitamente i sistemi su superficie sono disegnati come un puzzle in 2D: piccoli tasselli costituiti da molecole che si dispongono in maniera ordinata su una superficie, ricoprendola completamente. La novita’ del lavoro, invece, riguarda la possibilita’ di sfruttare per la costruzione di questi sistemi anche di una terza dimensione: l’altezza. In questo modo il puzzle si trasforma in una struttura 3D, la cui altezza puo’ essere modulata a piacere, combinando i vari mattoncini molecolari. Questo e’ stato possibile applicando un entusiasmante approccio bio-ispirato basato sull’associazione delle basi azotate complementari del DNA adenina e timina.

In questo modo le due ricercatrici hanno dato al peptide la capacita’ di auto-organizzarsi su un elettrodo d’oro in fili molecolari. Con lo stesso metodo, hanno legato, tramite l’interazione tra basi azotate complementari, una porfirina in grado di trasformare la luce in corrente elettrica. Questi fili molecolari sono stati caratterizzati da tecniche elettrochimiche e spettroscopiche e si sono dimostrati molto stabili nel tempo, conservando la loro attivita’ per molte settimane. Sotto illuminazione, il sistema completamente formato da biomolecole si e’ dimostrato in grado di generare corrente con un’efficienza superiore a quella registrata in sistemi simili non “bio”. Grazie a questo lavoro di ingegneria biochimica si e’ fornito il primo mattone per costruire un circuito elettronico biomolecolare.

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