Theresa May non convince la Camera dei Comuni ed esce sconfitta dal voto di ieri sera sull’accordo rinegoziato con l’Ue per Brexit. Ad esserle fatale la fronda dei ‘Brexiteers’, l’ala oltranzista del Partito conservatore che si riconosce nell’European Research Group: alla premier sono mancati 75 voti del suo partito e i 10 dei deputati nordirlandesi del Democratic Unionist Party. Non sono bastate, quindi, le concessioni sulla questione del ‘backstop’ per il confine irlandese ottenute nell’incontro di lunedì sera a Strasburgo con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Più forte il parere negativo dell’avvocato generale dello Stato, Geoffrey Cox, sulle sue implicazioni legali che ha perciò spinto la fronda euroscettica del Partito conservatore e gli alleati nordirlandesi a votare ‘No’ all’accordo.
Dopo la sconfitta, la premier conferma in ogni caso il calendario parlamentare: oggi si terrà il voto sull’opzione ‘no deal’, vale a dire se procedere o meno con una Brexit senza accordo. Ai parlamentari conservatori, ha spiegato May, sarà concessa libertà di voto, previsto alle 19. E in caso di ‘no deal’, ha annunciato stamane il governo, l’87% dei beni importati in Gran Bretagna saranno esenti da dazi e non ci saranno nuovi controlli alla frontiera irlandese. Il piano, reso noto prima che il parlamento voti stasera, migliora la situazione per i beni provenienti dai paesi extra Ue, ma peggiora quella per le merci europee, sottolinea la Bbc.
Attualmente la Gran Bretagna ha un regime tax free per l’80% delle importazioni, mentre tutti i beni provenienti dall’Ue sono esenti da dazi. In pratica, con il nuovo regime, l’82% di quanto viene importato dall’Ue rimarrebbe tax free, mentre per il resto del mondo si salirebbe al 92% (ora è il 56%). Il progetto prevede il mantenimento di dazi per la protezione di alcuni settori, fra cui l’agricoltura, con tariffe all’importazione per la carne bovina, ovina, il pollame e prodotti caseari.
Intanto, però, la data fissata per l’uscita del Regno Unito dalla Ue si avvicina. Il 29 marzo è infatti alle porte, e in assenza di accordo non ci sarà neanche il periodo di transizione fino alla fine del 2020 previsto per evitare contraccolpi economici e logistici imprevedibili nel divorzio tra Londra e Bruxelles e negoziare un nuovo accordo tra Regno Unito e Unione europea. Se invece l’opzione ‘no deal’ verrà respinta, giovedì i Comuni saranno chiamati a decidere se chiedere all’Unione europea una proroga dell’Articolo 50, rinviando così la Brexit.
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