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La depressione accellera l’invecchiamento del cervello. Lo dice una ricerca della Yale University

La depressione puo’ accelerare l’invecchiamento del cervello. Un gruppo di ricercatori della Yale University ha utilizzato una nuova tecnica di scansione cerebrale per dimostrare che la densita’ sinaptica, ovvero la quantita’ di connessioni nel cervello, inizia a calare 10 anni prima nelle persone depresse, a 40 anni d’eta’ anziche’ a 50. Questo potrebbe significare una precoce perdita di memoria, annebbiamento cerebrale, rallentamenti nel linguaggio e persino l’insorgenza di malattie legate al’eta’ come l’Alzheimer. La principale autrice dello studio, Irina Esterlis, che ha presentato i risultati in un meeting dell’American Association for the Advancement of Science, afferma che i risultati dello studio potrebbero avvicinarci a spiegare perche’ le donne, che hanno il doppio delle probabilita’ di soffrire di depressione, hanno il triplo del rischio di ammalarsi di Alzheimer rispetto agli uomini. La scienziata aggiunge che lo studio potrebbe anche aiutarci a sviluppare nuovi farmaci mirati all’ippocampo, la regione del cervello interessata sia dalla depressione che dall’Alzheimer. Lo studio e’ di piccole dimensioni, con sole 10 persone, ma i ricercatori affermano ora di avere le basi per organizzare uno studio su larga scala con molte piu’ persone. “Prima non siamo stati mai in grado di misurare le sinapsi nelle persone viventi perche’ non avevamo uno strumento”, spiega Irina Esterlis. Il potenziale di questo nuovo e promettente metodo di imaging e’ significativo. I ricercatori pensano che con il tempo si puo’ pensare di sottoporre le persone con depressione a screening per rilevare i segni dell’invecchiamento cerebrale che potrebbero trasformarsi in problemi piu’ gravi. 

 

“C’e’ molto che possiamo fare, abbiamo solo bisogno di piu’ tempo”, avverte Esterlis. Il motivo per cui e’ stato cosi’ difficile vedere se la depressione invecchia il cervello negli umani e’ perche’ le scansioni cerebrali non possono vedere cosi’ tanto. Le scansioni MRI possono mappare le regioni del cervello, ma non possono osservare in diretta il flusso dei complessi e rapidi cambiamenti che avvengono costantemente. Uno degli aspetti piu’ importanti del cervello e’ anche il piu’ elusivo: le sinapsi. Si tratta delle connessioni tra i neuroni, che permettono alle informazioni di viaggiare intorno e attraverso le regioni del cervello. Ci sono circa 100 milioni di neuroni nel cervello, ognuno connesso a circa 10mila altri neuroni. Mentre sperimentiamo cose diverse – qualsiasi cosa – queste connessioni cambiano, si formano, si rompono o si rafforzano. Allo stesso tempo, mentre invecchiamo, perdiamo connessioni sinaptiche, il che e’ sia utile (ci sbarazza dalle connessioni inutili) che frustrante (diminuisce le capacita’ multi-tasking e rende piu’ difficile richiamare alla memoria le parole). Per decenni, i neuroscienziati hanno sospettato che la densita’ sinaptica possa dirci molto sulla salute mentale e cognitiva di una persona. Ma fino ad ora, per scoprirlo c’e’ stato bisogno di aprire, letteralmente, il cervello. Il nuovo strumento sviluppato da Yale nel 2016 ha aperto nuovi orizzonti, consentendo agli scienziati di mappare le sinapsi negli esseri umani viventi senza ricorrere alla dissezione. La tecnica e’ un tipo di Pet che i ricercatori di Yale hanno progettato una molecola radioattiva che si legherebbe alle proteine trovate solo nelle sinapsi. Potrebbero quindi tracciare quella molecola, osservare dove si accumula e dove non lo fa, mostrando in questo modo dove la densita’ sinaptica e’ piu’ alta o piu’ bassa. In pratica, consente ai ricercatori di misurare la densita’ sinaptica nelle persone e di effettuare cross-reference delle scansioni cerebrali con interviste ai pazienti, offrendo una prospettiva a tutto tondo della loro salute fisica e mentale. Nel nuovo studio i ricercatori hanno coinvolto 10 persone con un disturbo depressivo maggiore con un’eta’ media di 40 anni e un gruppo di controllo con un’eta’ media di 36 anni. Il piccolo studio ha fornito i risultati attesi: la densita’ delle sinapsi era inferiore del 2-3 per cento nelle persone con depressione cronica. Ci vorranno anni prima di comprendere appieno il collegamento. Alzheimer e depressione sono condizioni a “combustione lenta” che si sviluppano nel corso di un lungo periodo di tempo. “Potenzialmente potremmo aiutare le persone affette da depressione e potremmo individuare quelle con densita’ nell’ippocampo che potrebbero avere l’Alzheimer”, dice Esterlis. “Potremmo capire se e’ possibile prevenire l’Alzheimer”, aggiunge. 

Redazione

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